Biblioteca Baltica

Scaffale di letteratura lettone, narrativa e poesia (traduzione italiana a cura di Paolo Pantaleo)

Un seme nella neve (poesie e lettere dal gulag)

di Knuts Skujenieks

Knuts Skujenieks venne arrestato il 17 aprile 1962 a Ventspils, con l’accusa di attività antisovietica. Aveva 26 anni. Fu condannato a 7 anni di lavori forzati da scontare in un campo di lavoro in Mordovia.
Aveva il diritto di spedire due lettere al mese. Insieme alle lettere inviava alla moglie e agli amici anche le sue poesie. Dal 1963 al 1969 nel lager in Mordovia scrisse circa mille poesie. Un quinto di esse composero la raccolta “Sēkla sniegā” (Un seme nella neve), che fu pubblicata in Lettonia per la prima volta nel 1990.

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Sniegs apdzēš rudeņa svilumu – La neve smorza l’ocra autunnale
(1964)

Sniegs apdzēš rudeņa svilumu.
Un debesis atgūst zilumu.
Un sarkans, aprūpēts, pazīdīts,
Bez skaņas mirkšķina acis rīts.
Kāpj saule lēnām – jo nav kur skriet,
Iet pasaule tā, kā tai vajag iet.
Un pats tu, kad redzi, cik diža diena,
Vairs negribi skriet ar pieri sienā,
Tev vajag izšķetināties no miega
Un rāmu sēklu sēt dziļi sniegā.
Tā runāt, tā rakstīt, tā dēstīt un sēt,
Lai tevi vairs nevar nonāvēt.
Tad kādi mākoņi pasauli stīpos,
Bet saule ripos, bet saule ripos,
Tad kādas miglas pār apvāršņiem svīdīs,
Bet saule smiesies un zemi zīdīs.
Un pats tu jutīsi saules pienu
Ar katru nakti, ar katru dienu.
La neve smorza l’ocra autunnale.
E il cielo riacquista il suo blu usuale.
E rosso, curato e pasciuto
occhieggia il mattino muto.
Sale lento il sole – non si deve affrettare
Va il mondo, così come deve andare.
E tu stesso di fronte a un giorno di tal quiete,
non vuoi più sbattere la testa alla parete
divincolarti dal sonno, questo ti preme,
e nella neve affondare un quieto seme.
Parlare, scrivere, piantare e seminare,
così, perché non ti possano più ammazzare.
Seppur dalle nuvole la terra è avvolta,
il sole ruota, il sole ruota,
Per quanta nebbia l’orizzonte serra,
sorride il sole e allatta la terra.
E tu stesso del sole assaporerai il latte
per ogni tuo giorno, per ogni tua notte.

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(18 gennaio 1963, lettera alla moglie Inta, dal carcere di Riga prima della deportazione)

“La cosa principale: mantieniti in salute… Quanto mi manchi, non sto a scrivertelo. Non ti scriverò neanche tante parole d’amore. Le comprenderai lo stesso, e poi te le dirò quando avremo modo di incontrarci (la moglie di Skujenieks aveva il permesso di recarsi nel campo di deportazione del marito per tre giorni l’anno, ndt).
A) Saluta tutti quanti! Non sto a rammentarti i nomi, per non offendere chi non nomino.
B) Scrivi!
C) Comportati bene!
D) Ascolta le notizie alla radio!
E) Non scappare dai dottori!
F) Non fumare troppo (altrimenti avrò invidia di te)
G) Non dimenticare tutto ciò che ti ho detto nei punti A-F (incluso il C).
H) Oltre ai saluti citati nel punto A – bacia tutti quelli che se lo sono meritati (gli uomini non sei obbligata a baciarli, quelli sono sciacalli). Lo stesso prendi anche quelli che vuoi.
I) Per il punto D, riguardo ai notiziari meteo, meglio se dai retta al tuo naso.
J) Non solo non scappare dai medici, punto E, ma vacci più spesso.
K) Krokodils
(coccodrillo, era il nomignolo con cui Inta chiamava Knuts, come pure Kro era anche il nomignolo che Knuts usava per chiamare la moglie Inta. Entrambi firmavano le loro lettere disegnando  un coccodrillo stilizzato, ndt).

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Poga – Il bottone
(1964)

Kā ķirsis, kurš galotnē sargā
Pēdējo pārpalikušo ogu, –
Tā es sargāju sadilušajā kreklā
Vienu vienīgu pogu.

Kad vairs nav ne suvenīru, ne ceribu
un kad nasta kļūst aplam grūta,
Es azotē paknibinos gar pogu,
Kura ir tevis šūta,

Par spīti gadiem un badiem,
Par spīti sniegiem un miegiem,
Tu mani piediegusi caurumainajai dzivei
Ar mīlestības un mūžības diegiem.

Nakts dienu pieveikusi. Es raugos
Vienā vienigā gaišā logā.
Tas nav logs. Mūžs mans uz krūtīm deg
Tevis iešūtā pogā.
Come il ciliegio, che sulla cima protegge
l’ultimo frutto rimastogli,
così io su una camicia consunta custodisco
un solo unico bottone.

Quando non c’è più ricordo, né speranza
e quanto il fardello diventa troppo pesante,
sul petto mi trastullo col bottone,
che mi hai cucito.

Malgrado gli anni e la fame,
malgrado il sonno e la neve,
tu mi hai imbastito a questa vita sdrucita
con un filo d’amore e d’eternità.

La notte ha vinto sul giorno. Io cerco
almeno un’unica luce dalla finestra.
Ma non c’è finestra. La vita mi brucia in petto,
sul bottone che mi hai cucito.

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(ottobre 1963, lettera a Imants Auziņš)

“La mia situazione sociale, diciamolo chiaramente, non è delle più brillanti. Non i libri, ma è la vita stessa che mi pone di fronte al fascismo, al revanscismo, e ai portatori di idee simili. Non posso starmene seduto come un agnello sacrificale, ascoltare obbediente ogni sorta di stupidaggine e bassezza. D’altra parte considero qualsiasi  sospensione della condizione del lager con mezzi amministrativi come non etica (qualsiasi sia la convinzione di un uomo). Questo non vuol dire che non farò il bravo. Anche in mezzo a quelli qualificati come peggiori criminali. Ma credo sia chiaro anche a te, quanto facile è ottenere tale qualifica…

…. Per ora ho iniziato ad affrontare solo i primi versi di Dante – sa il destino se arriverò fino al suo centro. Non so. Non vorrei. Senza dubbio nel profondo del cuore provo davvero un naturale e comprensibile desiderio di Virgilio, che di nuovo mi riporti fra le stelle. Ma ai nostri tempi un Virgilio non esiste.
Scrivo. Forse ciò che scrivo non ha valore letterario, ma la scrittura mi aiuta molto. I sentimenti e gli stati d’animo, in un modo o in un altro, smettono di tormentarmi e molestarmi, se riesco a formularli e metterli per iscritto”.

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Piedod… – Perdona…
(1964)

Piedod man par roku ūdenssaltu,
Kas vairs pilnā kvēlē nesakais.
Piedod man, ka kreklu, putu baltu,
Pašai tev no šauriem pleciem laist.

Atmiņas zem kājām sadrūp suķes,
Man pie tevis solis nav vairs raits.
Piedod man, ka nav nevienas puķes,
Piedod, ka tik izbadināts smaids.

Piedod man, ka gaismu neizslēdzu
Un ka tā ar miljons šķēpiem dur,
Piedod, ka es tevi visu redzu,
Ka tu aizbēgt nevari nekur.

Piedod man par lūpām mazrunīgām,
Kurās katrs vārds kā apsaldēts.
Zin tik nakts ar savām melnām stīgām,
Ka bez tevis krūtīs tukšums brēc.

Sažņaudz kaklu īsās dzīves baisums,
Tajā cilvēks nav ne graša vērts.
Piedod man, ka tavu glāstu paisums
Atplūst, pa līdz pusei neizdzerts.

Piedod man par saindēto tīksmi,
To, ka sāp tavs neskūpstītais plecs.
Piedod man, ka mēness spīd tik līksmi,
Piedod, ka es simtu gadu vecs…
Perdona la mia mano gelida,
che neanche l’incandescenza riscalda.
Perdona la camicia, schiuma candida,
che ricade dalla tua povera spalla.

I ricordi si frangono in dolori,
verso te non ho più agile il passo.
Perdonami di non aver più fiori
perdonami questo sorriso affamato.

Perdona la luce che non spengo
e che trafigge con miriadi di dardi,
perdonami se ovunque ti scorgo,
se non c’è luogo dove puoi sottrarti.

Perdona le mie laconiche labbra,
dove ogni parola raggela.
Solo la notte coi suoi fili neri sa
il pianto del mio petto, vuoto di te.

Serra la gola l’angoscia d’una vita breve,
dove un uomo non vale una sola moneta.
Perdonami, se la marea delle tue carezze
è rifluita per la metà intatta.

Perdona la mia gioia infetta,
che addolora le tue spalle cariche d’affanni.
Perdonami se la luna riluce contenta,
perdonami, d’aver già cent’anni…

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(novembre 1964, lettera a Vizma Belševica)

“Un così scarno e misero atteggiamento nei confronti della vita, del mondo e della convivenza civile, come quello che c’è qui, non si può trovare da nessun’altra parte. Forse solo nel campo di battaglia. Potrebbe sembrare che questa riduzione renda una persona primitiva: proprio il contrario – qui una persona, non solo con il suo cervello, ma con tutte le sue budella (nel suo significato più vero), comprende che il male e il bene non sono categorie insapori e inodori, che hanno dimensioni e forze reali…”

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Tava balss – La tua voce
(1966)

Kur man aiziet no tavas balss
Tavas siltās un steidzīgās runas
Ja pat klusumā rosās vārdi,
Dzīvo skaņas, kam vārdu nav?

Kamēr man vēl ir tava balss,
Nesajūtu, kā izdeg gadi.
Nenoskumstu, kad nokrīt zvaigzne,
Kamēr man vēl ir tava balss.

Kur man aiziet no tavas balss,
Siltās, steidzīgās mīlētgribas?
Kur man aiziet no dzīvotgribas?
Tava balss – tā ir tāda dzeja,
Kādu mūžam man neradīt.
Dove fuggire la tua voce
i tuoi caldi e repentini discorsi,
se fin nel silenzio si affannano parole,
e s’affacciano suoni che parola non hanno?

Finché ho ancora la tua voce,
non mi tocca l’incendio degli anni.
Non mi rattrista la stella che cade,
Finché ho ancora la tua voce.

Dove fuggire la tua voce,
le tue calde e improvvise voglie d’amore?
Dove fuggire la tua brama di vita?
La tua voce – tale poesia
che mai in vita ho generato.

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(dicembre 1964, lettera a Vizma Belševica)

“Cosa posso dire di me stesso. Mi tocca vivere, sopravvivere, e riflettere molto. Mi capita di parlare molto e di ascoltare altrettanto. E soprattutto – scrivo molto.
Oggi hanno sciolto una parte del nostro lager. Hanno sciolto la mia scuola letterario-estetico-filosofica, dove io stesso sono stato insegnante e alunno. Per quanto tempo – non so. Ma questo scioglimento anche spirituale di me, alla fine ha prodotto un risultato positivo. Per un po’ di tempo devo starmene per conto mio. E sento ancora di possedere colossali riserve nascoste, dentro di me. Più tempo passo qua, più questa sensazione cresce”.

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Vejaina birzs – Betullaia ventosa
(1966)

Alkšņi šūpojas plaši kā pļāvēji siena talkā,
Bērzs, atstiepis pirkstus, līgo savā švītībā smalkā
Apses kā vecenes vārgas, galvām drebot, sūdzas un taustās –
Vienīgi ozols nekust, tik vaigs viņam reizi pa reizēm raustās.

Un tā vien šķiet, ka tie visi stāv rindā uz milzīgu izpārdošanu.
Bet varbūt uz jaunām ziņam? Bet varbūt uz svētības došanu?
Bet varbūt tie sadzīti kopā bez viņu ziņas un gribas?
Vai arī viņi – kā cilvēki – nepanes vientulības?

Cik viņi nepacietīgi: berzē rokas un galvas klana!
Ej nu sazini, kas par lietu: kokam ir koka saprašana…

Es vēl neprotu izlobīt jēgu, bet jau drebu līdz vējainā alkā.
Es jau esmu pa pusei koks. Es jau drīz būšu tur. Pulkā.
Talkā.

Bet vai manis tur vajadzēs: roku manu, žuburu
Pavisam svešādu koku ar cilvēka saprašanu?
In larghe onde muovon gli ontani, come falci in fienagione
la betulla le dita affusolate, danza in raffinata elezione.
Lamentosi vacillano i pioppi tremuli, vecchie inferme dalla testa tremante
solo la quercia immobile, giusto ogni tanto tramuta sembiante.

E così sembra stian tutti in fila in una grande liquidazione.
Forse in attesa di notizie? O d’una benedizione?
O forse ammassati insieme a dispetto di coscienza e disposizione?
Forse anche loro – come gli uomini – non sopportano la desolazione?

Così impazienti: si strofinan le mani e il capo ciondolano in sporgenza
Va’ a sapere cos’è: gli alberi degli alberi hanno la sapienza.

Io non trovo ancora un senso, ma già mi scuote del vento il morso.
Son già per metà un albero. E presto me ne andrò là. Nella folla.
In soccorso.

Ma serviranno mai là i miei rami, la mia mano,
albero del tutto estraneo e dall’intendimento umano?

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(maggio 1965, lettera a Imants Auziņš)

“Il mio destino è ancora avvolto nella nebbia. E anche quando la nebbia si sarà dissolta, l’orizzonte non sarà del tutto roseo, dovremo pensare tutti insieme, perché io da solo nel mio procedimento non posso fare molto. Forse Inta (la moglie di Skujenieks ndt) verrà a trovarmi questo autunno, o forse no. Ma dovremmo mettere tutte le nostre teste insieme per valutare le possibilità. Forse potrà anche  capitare che resti qui tutti e sette gli anni, e un bel giorno riceverò le scuse per l’errore.. Solo, a chi servirebbe? A nessuno. Che il mio processo sia stato montato su falsificazioni e assurdità non è più un segreto per nessuno, ma sono già passati tre anni e non è successo ancora niente. Più passa il tempo e più questa situazione diventa assurda. Credo che tu sappia che di chiedere la grazia io non posso, e non ci penso in nessun caso (era stato fatto sapere a Skujenieks che avrebbe potuto godere di una sospensione della pena se avesse chiesto la grazia, ndt). ”

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Īzāks Bābels – Isaac Babel’
(1966)

Uz deguna brilles un sirdī rudens…
Rudens un revolūcija.
Revolūcija aulekšoja atbrīvot darbaļaudis
Un izdedzināja bites Voliņā.

Sirdī rudens un rokā zobens.
Nemākulīgs zobens nemākulīgā rokā.
Nemākulīgākais no revolūcijas kavalēristiem
Un labākais revolūcijas dzejnieks.

Savādnieks. Nespeciālists gešeftēs un vijoļspēlē.
Nespeciālists konjunktūrā. Meistars hibridizēt
Smieklus un sarecējušas asinis.

No neērtiem segliem izsista doma.
Dzīvība ar atpakaļejošu datumu.
Uz deguna brilles un sirdī rudens…
Gli occhiali sul naso e l’autunno nel cuore…
Autunno e rivoluzione.
La rivoluzione galoppava a liberare i lavoratori
e incendiava le api della Volinia.

L’autunno nel cuore e la spada in mano.
inetta spada in inetta mano.
Il più inetto dei cavalieri della rivoluzione
e della rivoluzione il più eccelso poeta.

Eccentrico. Maneggione e violinista improvvisato.
Estemporaneo del suo tempo. Maestro dell’ibrido
di risate e sangue rappreso.

Il pensiero scalciato da una scomoda sella.
Una vita con data retroattiva.
Gli occhiali su naso e l’autunno nel cuore

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(maggio 1965, lettera a Vizma Belševica)

“Non è così male, Vizma. Fantastica è stata questa protesta nei confronti della mia condanna (l’Unione degli scrittori lettoni aveva inviato al Soviet Supremo una richiesta di grazia per Skujenieks, ndt) se potrà essere presa in considerazione seriamente. Certo, non mi faccio illusioni, ma da qualche parte sarà rimasta qualche riserva di buon senso. Non sentirò delusione comunque – a differenza di Inta, di te e degli altri amici. Sono pronto a restare qui anche tutti e sette gli anni, ma non ho intenzione di passarli come un agnello sacrificale…
…Dunque, che posso dire? Solo stringere i denti e sperare. Tu fa’ lo stesso. Per citare me stesso: Finché in bocca ci sono denti, bisogna stringerli forte.”

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Die kleine nachtmusik
(1967)

Atslēdzas radio –
zem radiatoriem iesākas circenis,
kad nogurst circenis –
pamostas runcis,
lielais, rūsganais runcis,
pirmais cietējs un pirmais mīlētājs,
bet arī runcis ir tikai runcis, –
un, kad jau šķiet:
nupat, nupat pārtrūks
pēdējais drošibas diedziņš,
pasaule paliks
bieza un mēma, –
izlec izspūris zvirbulis
kopā ar sauli no pažobeles –
un viss sākas no gala.

Taisnibu sakot,
runcis izmakšķerēja circeni
un zvirbulim norāva galvu –
bet tā jau ir proza
un dienas laikā.
Spenta la radio –
sotto il radiatore attacca la cicala,
come la cicala si stanca –
si sveglia il gatto,
un grande gatto rossiccio,
il primo dei sofferenti e degli amanti,
ma anche il gatto è solo un gatto, –
e, quando già sembra:
appena appena spezzato
l’ultimo filo di sicurezza,
il mondo resta
denso e muto, –
salta fuori un passerotto arruffato
insieme al sole dal sottotetto
e tutto ricomincia daccapo.

A dir la verità,
il gatto ha catturato la cicala
e al passerotto ha staccato la testa –
ma questa è già prosa
e si è fatto giorno.

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(luglio 1966, lettera a Imants Auziņš)

“Si dev’essere pronti a sopportare sacrifici ancora più grandi. In fin dei conti, rimanere leali non è possibile. La nostra stessa professione è non leale, e questo fatto, che noi siamo lettoni, non russi (leggi non sciovinisti), operatori culturali, ci rende doppiamente non leali. In ogni caso, sia che  sul tavolo della politica resti la questione della salvaguardia della forza viva del popolo lettone, o la preparazione di eventi per un radicale cambiamento politico, il nostro compito resta sempre lo stesso. Noi diciamo no all’assimilazione e alla normalizzazione, no all’oltraggio nei confronti del nostro popolo, o di qualsiasi altro popolo, nei confronti dell’idea stessa dei popoli.
Da una parte, in confronto ad altri popoli dell’impero (sovietico ndt), i lettoni hanno un vantaggio: la barriera della lingua e il patrimonio del loro passato, del tutto differente da quello dei “fratelli maggiori”. Per gli ucraini è più difficile, per i bielorussi ancora di più…
… Ci sono vie legali e vie illegali. Percorriamole entrambe. Naturalmente quelli che hanno mostrato fin troppo la loro non lealtà, e quelli che il potere ha marchiato, non possono scegliere la strada dell’illegalità. A questi resta l’attività allo scoperto nei limiti del possibile, e il diritto, persino in certi momenti il dovere, di rimanere in silenzio…
L’Intelligencija lettone deve riaffermare la propria tradizione e fama rivoluzionaria. Ma  non come atteggiamento o pubblicità, semmai in senso concreto e pragmatico. Siamo davvero di fronte alla domanda “essere o non essere”. Io sono per “essere”, e ho deciso di fare tutto ciò che è nei limiti delle mie possibilità”.

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Pasaule malā – Alla fine del mondo
(1967)

Ši ir pēdējā barikāde, uguns līnija, sarkanā svītra,
Pāri tai
Mēs vairs nesadosimies rokās.
Ne draugi, ne parlamentārieši, pat ne pudelesbrāļi.

Pēdējā diena, pēdējais teikums, pēdējā šanse.
Uz robežas sadegs vārds mēs.
Cauri ugunij netiks vārds jūs.
Paliks vienigi viņi.

Šovakar pasēdēsim uz mūsu saprāta čemodāniem,
Uz mūsu goda jūtu mugursomām
Un saskaitīsim mūsu mūža sīknaudu
Turp – vai atpakaļceļam.

Pasēdēsim līdz rītam.
Ecco l’ultima barricata, il fronte del fuoco, la linea rossa,
oltre
non ci stringeremo più la mano.
Né amici, né parlamentari, neanche fratelli di bevute.

L’ultimo giorno, l’ultima frase, l’ultima occasione.
Sul confine brucia la parola noi.
Non oltrepassa il fuoco la parola voi.
Quel che resta, solo loro.

Stasera ci sederemo sul bagaglio del nostro senno,
sugli zaini del nostro senso dell’onore
a contare gli spiccioli della nostra vita
Andare avanti – o tornare indietro.

Staremo seduti ad aspettar mattina.

****

(1 aprile 1969, l’ultima lettera alla moglie Inta, prima del ritorno in Lettonia)

“Kro!
Dunque sono sopravvissuto fino agli ultimi mesi e ti scrivo l’ultima lettera. Mi sembra tutto così strano. Domenica ho messo un punto alle mie poesie e adesso, rimesse in ordine, i manoscritti sono impacchettati e pronti per essere sottoposti a revisione…
… Vedi, come va. Ti invio le mie ultime dieci poesie e con violenza mi costringo a non scrivere altro per ora. Voglio vedere se è giusto il pessimismo di Blaumanis (famoso scrittore lettone ndt), per il quale i lettoni non riescono proprio ad astenersi dallo scrivere poesia. Naturalmente, questi sono tutti frammenti, impressioni, lampi. Poiché per poter avere qualcosa di livello più alto, prima di tutto devo riprendermi, recuperare e riorientarmi dal punto di vista emozionale. Troppo radicati questi stessi e solo questi sentimenti…
… Attendo ancora forse qualche notizia da te, ma non ha più senso che io ti scriva ancora, dato che potrei arrivare insieme alla lettera stessa, o potrei portartela io stesso.
Allora, teniamo duro, contiamo i giorni e aspettiamo.
Con tanti, tanti, tanti baci e saluti per tutti!
Atā!

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Bišu maize – Il pane delle api
(1968)

nekas nav pazudis
ne verdzība ne vaļa
viss pielīp piejūk klāt
kā garšas miliondaļa

vairs nezini
no kādiem griķu laukiem
no kādām atmiņām
no kādiem liepu traukiem

no kādas rakstītas
vai dzīvas frāzes
no sejas piemirstas
vai pērkongāzes

nekas nav pazudis
ne rokas cēliens
viss sanests saaudzis
vien garšas svēliens

tā ir uz rudeni
tā notiek pusē
kad sirds ir piekrauta
un biežāk klusē

kad doma galdā guļ
ņem dali graizi
un tas ir laiks man jādod
jums bišu maizi
niente è perduto
né schiavitù né libertà
tutto qui s’avvinghia e si mischia
come particelle di bontà

non sai più
da quale campo di miglio
da quali ricordi
da quali piatti di tiglio

da quali scritti
o frasi palpitanti
da volti dimenticati
o tempeste tuonanti

niente è perduto
non delle mani l’ostentazione
tutto condotto e cresciuto assieme
solo l’ardore d’una percezione

così si va verso l’autunno
che cade in quello screzio
quando il cuore è colmo
e più denso il silenzio

quando il pensiero sul desco giace
prendi e sminuzza in mille capi
questo è il mio tempo per darvi
il pane delle api

Traduzioni di Paolo Pantaleo [Diritti riservati]

Poesie tratte da: “Raksti – Dzeja 1963/1969” (Dzejas ārpus krājumiem – Sēkla sniegā) Ed. Nordik

Lettere tratte da: “Raksti – Dzeja, vēstules, miscelāniji” Ed. Nordik e da “Kro-Kro – Knuta un Intas Skujenieku vēstules 1963-1969” Ed. Laika Grāmata

Un commento su “Un seme nella neve (poesie e lettere dal gulag)

  1. Giusi Meister
    marzo 8, 2013

    splendido!!!

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Questa voce è stata pubblicata il febbraio 16, 2013 da in Knuts Skujenieks con tag , , .

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